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UN DIVANO A NEW YORK
(UN DIVAN A NEW YORK)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 febbraio 1997
 
di Chantal Akerman, con Juliette Binoche, William Hurt (Francia - Belgio, 1995)
 
Perché una regista "impegnata" come la belga Chantal Akerman gira un film come UN DIVANO A NEW YORK? Desiderio di rigenerarsi negli schemi antichi ed eventualmente rilassanti della commedia all'americana? Sfida nei confronti dell'establishment critico per dimostrare di riuscire a cambiare registro? Ambizione più prosaica di sfondare finalmente al box-office?

Fatto sta, che l'autrice di film d'introspezione sofferta e grande innovazione espressiva come quello che si conferma essere il suo primo capolavoro, JEANNE DIELMAN (****, 1975) o più di recente il coinvolgente NUIT ET JOUR (**, 1991) ingaggia due star come Juliette Binoche e William Hurt: ed illustra un canovaccio di quelli che appartengono alle origine del cinema.

Il gioco degli equivoci a lieto fine: lei, ballerina corteggiata a Parigi, che s'istalla per sei settimane a New York nell'appartamento di lui. Psichiatra emerito, con corollario di splendido loft su Central Park: che, a sua volta, trasloca nell'appartamentino bohème di lei. Il tutto senza conoscersi, grazie all'annuncio galeotto sull'Herald Tribune: con i due che s'incrociano sull'Oceano senza saperlo, gli innamorati di lei che continuano a tempestare la segreteria telefonica, cosi come i pazienti di lui che scoprono di essere meglio curati dal buonsenso istintivo della francesina che dal serioso impegno del dinoccolato psy. Con il cagnone di lui che s'accomoda perfettamente allo charme parigino di lei; cosi come i gerani di lei che attendono di essere innaffiati dal poco affidabile pollice verde di lui.

Si sa come vanno queste cose di non proprio sconvolgente novità: da come uno è capace di tradurle su pellicola. Con senso del ritmo, leggerezza nel dirigere gli attori, puntualità nello scandire la gag comica, ipersensibilità per i colori, le musiche, le vibrazioni del contenitore formale.Tutte cose che una regista intelligente e pure esperta come Chantal Akerman possiede, ma finalizzate espressivamente (e filosoficamente) in qualcosa che si situa agli antipodi.


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